Il Vigentino (II)

A cura della Fondazione Milano Policroma
Testo di Riccardo Tammaro

Nello scorso articolo abbiamo ripercorso la storia del borgo del Vigentino fino al quindicesimo secolo circa; in seguito esso divenne un tranquillo comune agricolo, la cui ampiezza raggiunse circa 300 ettari, e che nel 1881 contava circa 800 abitanti; come detto in un precedente articolo, esso venne assorbito in un primo tempo da Quintosole, per poi tornare indipendente ed anzi ingrandirsi a spese dei comuni limitrofi, fino all’annessuine da parte del Comune di Milano avvenuta nel 1923. La sede del Comune fu prima a cascina Pozzolo e poi in un edificio all’angolo tra le via Ripamonti e Noto che, distrutto dalle bombe, fu sostituito da una scuola.
Sul muro di uno degli edifici superstiti, costeggiato da un piccolo giardino, è tuttora visibile la scritta di epoca littoria “E’ l’aratro che traccia il solco ma è la spada che lo difende”.
Superato questo gruppo di isolati, si giunge ben presto all’incrocio con via Assunta: qui sorgevano numerose testimonianze del Vigentino e territorio limitrofo, e qualcosa si è conservato fino ai giorni nostri.
Iniziamo dalla “Ca’ del Delfin”, tuttora presente sull’angolo nord-est tra le vie Ripamonti e Assunta: su di essa compare (sul lato di via Ripamonti) la seguente scritta incisa su una targa:
“E’ VIETATO LO SCARICO DELLE IMMONDIZIE NEI FOSSI LATERALI DELLA STRADA”
Il motivo di questo cartello era che Vigentino non aveva fognature e le strade correvano all’epoca tra larghi fossati con piccoli ponticelli che davano accesso alle case e alle botteghe.
Al posto degli eleganti condomini residenziali del quartiere detto “Derby Crocetta” sorgeva invece fino agli anni Sessanta del ventesimo secolo la cascina Crocetta, residenza settecentesca sita lungo la via Ripamonti nell’isolato delimitato da via Solaroli, via Alamanni, via Verro e appunto via Ripamonti, che vantava un maneggio aperto alla fine dell’Ottocento (da cui il nome Derby, ripreso anche dal cinema poi scomparso che si trovava in via Ripamonti al civico 166) e che poteva contare su quattro ampie stalle, gestite dai fratelli Rivolta, che ospitavano un’ottantina di cavalli.
Vale forse la pena riportare un episodio di cronaca, che ormai è divenuto di storia, riguardante questo elegante quartiere: tra i suoi abitanti, camuffato da persona normale, malato di tubercolosi ossea e convivente con una signora claudicante, si nascondeva anche il noto latitante Luciano Liggio, ricercato dalle polizie di ben 115 paesi, e qui arrestato il 16 maggio 1974.
Sempre sull’incrocio (angolo sud-est) sorgeva fino agli anni Sessanta circa del ventesimo secolo la “Cort granda”, sostituita oggi da un condominio. Si trattava di una casa padronale dotata di un porticato a colonne toscane ad architrave e, sul retro, di tracce di fineste ad arco ribassato del tardo Quattrocento; all’interno si trovava un grosso camino cinquecentesco, scolpito a festoni, recante due targhette araldiche, attribuite ai Crevenna e ai Carpiani; per certo appartenne ai Visconti.
Se a questo punto giriamo a sinistra in via Sibari, percorso un centinaio di metri ci troviamo tra due cascine, di cui una in condizioni disastrate, mentre l’altra è tuttora abitata. Si tratta rispettivamente delle cascine Visconta e Belcasule: la prima appartenne ai Vusconti di Modrone ma è ormai diroccata; la seconda invece, che deve il suo nome a Belcazù (bel casotto) o “bel cazzù” (ovvero bel mestolo) è invece tuttora in uso, seppure non più agricolo. Il motivo per cui si potebbe pensare al mestolo è che non distante da qui, a Castellazzo, si trovava una comunità di frati Girolamini, che avrebbero potuto usare questa cascina per sfamare gli indigenti.
Di Castellazzo e dei frati che vi avevano un monastero parlerò però in un prossimo articolo; qui si conclude la nostra passeggiata a Vigentino.